Dove sei, freccia arancione?
Presupposti per intraprendere il cammino: aver alle spalle mesi e mesi di duro allenamento, scarpe ad alta professionalità, zaino aereodinamico, borraccia auto ricaricante e, non meno importante, essersi sottoposti a corsi di coaching che non permetteranno a forza e perseveranza di arrendersi a metà strada.
E se invece rovistando nel nostro zaino pesante e disorganizzato dovessimo trovare un bel carico di fragilità, paure, insicurezze e vulnerabilità? E se le scarpe dovessero decidere di lasciar andare la suola dopo qualche giorno? E se i litri di acqua che portiamo non fossero sufficienti a dissetare quella insaziabile sete di Altro? E se ci trovassimo per un mese a percorrere, in compagnia della solitudine e del fiato corto, salite rocciose, distese infinite di campi, aride terre desertiche e boschi con sottofondo di voci esclusivamente animali?
E così, incosciente e carica di tutto ciò, che nel mese di Ottobre del 2022, sono partita per una delle esperienze più belle della mia vita: il Cammino Ignaziano.
Basterà ritrovarsi nell’umile Cappellina della Basilica del Santuario di Loyola per fare un salto nel lontano 1522 e desiderare ardentemente di partire per questo pellegrinaggio.
“AQUÍ SE ENTREGÓ A DIOS IÑIGO DE LOYOLA”: “qui”, nella camera da letto in cui si trovò costretto a riposare dopo essere stato gravemente ferito in guerra, questo giovane di 26 anni “si donò a Dio”. Il cammino del pellegrino inizia nello sguardo di un ragazzo ferito e distrutto, non solo nel corpo, ma nell’intimo più profondo perché privato del riconoscimento, della gloria e della potenza di chi nella vittoria in campo era solito riporre ogni realizzazione, orgoglio e soddisfazione. Il primo passo che viene chiesto è quello, però, di non rimanere fermi lì, ma di guardare in alto, nel punto in cui gli occhi di Ignazio incontrano la Luce che da quel momento illuminerà ogni angolo della sua vita, anche quelli che più faticava ad abbracciare.

Se Sant’Ignazio con i suoi esercizi spirituali guida ogni passo verso il cammino interiore, l’altra compagna di viaggio fedele è la freccia arancione che dai Paesi Baschi alla Catalogna non smette mai di indicare la via. E’ sempre visibile e rassicurante, soprattutto nei sentieri indefiniti dei boschi o in quei giorni di nebbia e pioggia dove il primo comandamento del pellegrino cita: “Seguirete le frecce sopra ogni cosa”.
In questo primo tempo è affascinante sentire come interiormente si combatta la lotta tra il rimanere intrappolati nelle preoccupazioni per il cibo, il pernottamento o per le lancette dell’orologio che sembrano correre veloci come la stanchezza alle gambe, e il bisogno di imparare a percepire un altro tempo e un altro spazio, quello dentro sé. Quante volte sentiamo quella voce che richiede con forza la nostra attenzione e la ignoriamo?
Ora possiamo concederle ascolto, accoglienza e amore e garantirle pause per ammirare la bellezza che si nasconde in ogni posto che solcheremo. E qui ricordare che il creato è un dono così meraviglioso da difendere. Del creato siamo parte anche noi.

A volte sembra che lo scopo sia esclusivamente camminare, eppure c’è dell’altro. Mi piace pensare che la rivelazione più potente sia scoprire la trasformazione che si cela dietro l’idea che intraprendere un cammino sia “inutile”.
Partire soli per un bel po’ di tempo richiede a volte di rinunciare o prendere una pausa dal lavoro, di sospendere momentaneamente il proprio “fare” nel mondo, di aver lontani affetti e situazioni a noi care e questo potrebbe far nascere sensi di colpa, paure e incertezze, nemiche dell’entusiasmo e della convinzioni iniziali. Quanto può sembrare egoistico prendersi una pausa di pace e serenità di fronte ad un mondo in guerra, colpito da disastri naturali, malattie e sofferenze? Tutti sono lì a combattere e ad affrontare la quotidianità e io qui a godermi l’immensa bellezza della natura, dell’alternarsi del sole e della luna, a sentire la musica dei passeri e il fruscio delle foglie al vento.
Ed invece, proprio lì, in quell’istante è possibile riscoprire il potere dell’in-utile. Guardi te, guardi ciò che ti circonda e una lampadina si accende: tutto gratuito. In-utile è essere liberi di attraversare ogni secondo con consapevolezza e unità e questo è ciò che viene chiesto al pellegrino: di andare per-ager, di attraversare terre, luoghi, persone; svuotare personali egoismi, necessità e comodità per far spazio ad ogni attimo di eternità che gli occhi, il cuore e la mente catturano. Ridonando ogni riflesso di infinito a chi incontreremo.
E se qui fosse nascosto il segreto per riscoprire quanto questo mondo sia così bello e quanto la vita di ciascuno di noi sia degna di essere accolta con delicatezza perché preziosa? Se chi si prodiga tanto per il Male si trovasse a osservare, a volte, non senza un po’ di sacrificio, quanto la natura e i suoi esseri viventi comunichino Bene? Forse non sarà un semplice cammino a cambiare il mondo, ma iniziare ad osservare il mondo con occhi di amore può rivoluzionarlo. Come cantano i The Zen Circus: “non è quel viaggio che mi ha cambiato. Piuttosto quando sono stato viaggiato“.

Giunti a Logroño, tappa comune al Cammino francese di Santiago, ci si avvicina al Cammino di Santiago dell’Ebro, a passo controcorrente rispetto alle frecce gialle. La meta da raggiungere è Saragozza, con la meravigliosa Virgen del Pilar e, nel mezzo, calpestati dai nostri scarponi, campi immensi di uva, peri, meli conditi di incontri con rari esemplari di pellegrini, abitanti o lavoratori locali dispensatori di frutta, sorrisi e saluti.
Dopo Saragozza, la terza settimana si inoltra nel paesaggio semidesertico de Los Monegros, arbusti di ginepro che con i loro tronchi e le loro foglie scure danno colore ai “montes negros” che attraversano l’Aragona. Percorrere questo spazio desertico tra Pina de Ebro e Bujaraloz significa vivere una delle sensazioni più intense di vastità ed essenzialità. Dai panorami ammirati sopra le vette dei monti si passa alle distese infinite di terra arida solcate dal basso: passo dopo passo, polvere dopo polvere, silenzio dopo silenzio. Juan Maria, un pellegrino incontrato per strada, ha descritto questa tappa come “es todo y es nada” ed è proprio una definizione che trovo incredibilmente azzeccata. Non c’è nulla, ma in quel nulla c’è Tutto, l’Essenziale. Quel niente, quel poco, che racchiude tutto. Una dimensione unica in cui respirare a pieni polmoni l’Assoluto.
Qui le frecce arancioni in alcuni tratti mancano, in altri si confondono con l’immensa grandezza del territorio e ciò può disorientare. In alcune situazioni siamo chiamati a decidere noi stessi dove andare, fidandoci, rischiando di perdere la via, sperimentando l’assenza di punti di riferimento. Il cammino è disegnato, ma non sempre ne riconosciamo i tratti e questo è il bello: perdersi, trovarsi di fronte a sentieri senza uscita e attraversare fiumi senza ponti. Ci sono momenti in cui si è guidati ed altri nei quali non pensiamo di esserlo. Come mi disse il signore incontrato all’Hostal di Candasnos: “Nella vita, come nel cammino, quando sei tra spine e rovi devi decidere se fermarti o continuare. Se ti fermi non arrivi alla fine”.
La quarta e ultima settimana da Fraga a Manresa attraversa la Catalogna e il Cammino Ignaziano diviene Cammino del Sole, perché la nostra freccia arancione si trasforma in un sole, che con i suoi raggi accompagna fino alla meta. Proprio qui, seguendo il sole sotto la pioggia, ho sperimentato quanto potente sia imparare a “stare” nell’imprevisto e quanto le intemperie possano insegnare. Aprendo le braccia e spalancando il cuore, la mia voce si è trasformato in un canto a squarciagola, in una preghiera: “Abbracciami Dio dell’eternità”. Ancora oggi mi chiedo quando cessò di piovere, perché non me ne accorsi.

Dopo venticinque giorni di cammino, scopriamo che l’intenzione di Sant’Ignazio era condurci alla tappa finale, attraversando il Santuario di Montserrat, casa della Madonna nera. In questa “montagna chiusa”, luogo di pace e serenità, abbandoniamo sull’altare, da poveri pellegrini, la nostra spada e le armature affidando a Maria, colei che in una mano regge il Figlio e dall’altra l’Universo, il nostro cuore errante.
Ed ecco che, su di un masso, dinanzi la torre di guardia di Santa Caterina ammiro dall’alto Manresa, la Basilica di Santa Maria e realizzo che siamo alla fine.
Difficile esprimere l’emozione nell’attraversare i mosaici di Rupnik verso la Grotta di Sant’Ignazio. Nell’immagine del santo che con una mano scrive gli Esercizi Spirituali e con il volto è rivolto verso la Madonna, in alto, trovano compimento le sue parole: “L’amore consiste nel rendere partecipi quelli che si amano di ciò che si ha e di ciò che si è”.
La parola che potrebbe avvicinarsi al mio sentire è Gratitudine. Si è grati quando si riconosce che una grazia si è posata su di te, sulla tua vita e ha valore persino retroattivo: trasforma ciò che guardavi con occhi dis-grati in opportunità di grazia enorme. Questo cammino è stata una grazia perché mi ha dato la possibilità di mettere nuove lenti che spero possano sempre ricordarmi che, delle volte, bisogna fermarsi a riconoscerla una grazia. Per essere grati. Per ringraziare.
Provare per credere.
Nicole
“Non credere che basti prendere il bastone all’alba,
non bastano il pane, la borraccia o l’invocazione.
Importa camminare uniti nell’amore,
rompendo ogni specchio che tiene chiuso il tuo cuore”.
(Caminante, Antonio Machado)