ll nome della nostra associazione può sembrare uno slogan, dal sapore leggermente semplicistico, per certi versi sensazionalistico, anche un pò “nazional popolare”, e a guardarlo con sospetto, velatamente illusorio. Non sono mancate in questi anni alcune reazioni anche forti rispetto al nostro nome, suscitando dentro di noi delle profonde riflessioni rispetto al senso che hanno per noi queste due semplici parole: camminare guarisce.
In realtà questo binomio è stato il nostro semplice, ingenuo modo di dare un cappello a qualcosa di genuino, profondo e veritiero che abbiamo sperimentato in cammino. Perché ci siamo allora sentiti di dire che camminare guarisce?
1. CAMMINARE REGALA CONSAPEVOLEZZA
Il primo grande regalo che fa il Cammino è la possibilità di acquisire consapevolezza sulla propria vita. Questo tipo di esperienza zaino in spalla, vissuta per più giorni, ha il potere di spogliare di tutte le sovrastrutture che ci portiamo pesantemente addosso nel nostro quotidiano, e offre l’opportunità alla verità di noi stessi di farsi spazio e venire alla luce. Può accadere, nella misura in cui ognuno di noi è pronto ad accogliere rivelazioni su se stesso e ad aprire spazi di cambiamento dentro di sé. Dentro ai propri passi, viene data l’occasione di aprire gli occhi. Nella vita che facciamo oggi, siamo troppo occupati a correre e a dover fare una lista interminabile di cose.
Cadono le maschere, rinunciamo volentieri ai soffocanti ruoli nei quali siamo incastrati, siamo svicolati dalle costrizioni della vita di tutti i giorni e scopriamo che possiamo essere “altro”. Che bel regalo: puoi essere te stesso e non più costretto a recitare!
Il contatto prolungato con la natura, il ritmo lento dei propri passi, l’essenzialità rispetto alle cose che contano, i rapporti con persone nuove con le quali non hai bisogno di nasconderti, tutto ciò spalanca finestre sulla propria vita ,facendo entrare una rigenerante luce e l’ossigeno necessario per vivere in armonia.
“La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro il tuo cuore. Chi guarda fuori, sogna. Chi guarda dentro, si sveglia”, diceva Carl Jung.
2. SI VIVE UN VIAGGIO VERSO A SE STESSI
Si cammina zaino in spalla verso una meta fisica, ma il grande viaggio che si vive è in verità è quello verso se stessi. Forse il lavoro primo di tutta la nostra vita è portare pace, perdono, comprensione, amore, in quelle parti recondite di noi rimaste profondamente ferite e che condizionano il nostro presente. Camminare guarisce perché ti offre l’inestimabile opportunità di andare incontro a te stesso e riscoprirti con occhi nuovi. Nelle nostre storie c’è una buona dose di sofferenza, spesso nascosta nei bassifondi dei nostri giorni e nelle parti più buie delle nostre esistenze, dove non ci piace mettere piede. È così facile galleggiare in superficie, distrarsi con quella valanga di immagini e di suoni che ci sommergono ogni giorno, tutti indaffarati, occupati e senza tempo. Tariamo tutto sulla mediocrità e ci “accontentiamo”. O meglio, siamo esperti in autogiustificazioni.
Abbiamo bisogno di portare guarigione in alcune parti profonde dentro di noi, e l’esperienza del Cammino regala questa preziosa opportunità a chi sa ascoltarsi e riesce coglierla nel momento che sta vivendo.
“Andare sulla luna, non è poi così lontano. Il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi”. (Anaïs Nin)
3. SI APRONO SPIRAGLI DI CAMBIAMENTO
Infine, l’esperienza del cammino ci offre possibilità di guarigione, perché regala una grande opportunità: quella di cambiare le cose che non vanno! Finché siamo dentro al nostro frenetico quotidiano, viaggiamo tutti come automi, impegnati e stressati a dover assolvere ogni giorno a un sempre più lungo elenco di cose da sbrigare. Le nostre giornate sono scandite di impegni, di compiti, di scadenze, di resoconti, di risultati, di successi da raggiungere, di responsabilità e di necessità a cui trovare risposte, e questi “doveri” ci impongono di vivere dentro ritmi e modalità che magari non ci sono veramente consone. Spesso subiamo, e nel silenzio soffriamo. Vorremmo altro ma non troviamo il coraggio e le modalità per costruirci della alternative. Il virus della rassegnazione scorre nelle nostre vene, e “uccide” dentro di noi anche i più veritieri aneliti a dare concretezza ai nostri sogni. Il buon senso comune ci imprigiona. Le bollette da pagare e gli obblighi che delimitano il nostro vivere, ci impongono di rinunciare. Scegliamo ciò che è “giusto” per tutti, piuttosto che ciò che ci può rendere veramente felici. Quando si parte in cammino, si accetta di mettere tutto ciò in “stand by”, e inconsciamente ci si allontana dal peso del quotidiano, per scoprire che c’è un altro modo di vedere le cose. Dentro al silenzio fatto solo dal rumore dei propri passi, chi cammina sente che in realtà esistono un mare di possibilità possibili, e si aprono margini di cambiamento vitali. Ritroviamo il respiro perso nell’affanno dei giorni, e gustiamo quella strana leggerezza che ha il sapore della libertà. Si ritrovano le cose che contano e ci si permette uno sguardo critico sulla vita che conduciamo. Tornano a germogliare i sogni, le ambizioni, i desideri e si sente che l’impossibile non esiste.
Tutto ciò ha un effetto potente dentro ai nostri cuori e porta guarigione in quelle parti di noi che soffrono silenziosamente e che non vogliamo quasi vedere per non stare male.
“Troppa gente si occupa dei sensi unici e dei sensi vietati, senza mai mettersi in cammino” (Fabrizio Caramagna).
4. LA DIFFERENZA TRA “CURA” E “GUARIGIONE”
Allora forse l’inganno risiede al senso che diamo alle parole. Quante volte ci perdiamo dietro al significato che hanno per noi termini che ormai siamo abituati ad usare forse con troppa leggerezza. Pensiamo tutti di essere obiettivi, quando la realtà è incredibilmente soggettiva. Diceva qualcuno che “non vediamo le cose per come sono, ma per come siamo”. Se torniamo all’origine, forse capiamo che mettere in antitesi parole come “guarigione” e “cura” non ha molto senso.
Ci facciamo aiutare a fare chiarezza in questo dalla dott.sa Erica Poli, psichiatra, psicoterapeuta e counselor, che scrive: “La parola guarire compare nell’antico spagnolo come Guarecer, da Garir, derivante dal germanico Varian, da cui Wher, difesa, o Ware in inglese (che indica la consapevolezza, ad esempio “to be aware”). In antichità guarire significa preservare, difendere, salvare dal male, attraverso il guardare, diventare consapevoli. Concetto molto più profondo del più limitato far tornare in salute cui si riferisce oggi il termine guarire. Guarire ha a che fare con una sorta di nuova visione, di illuminazione, con la capacità di diventare consapevoli, di osservare rivolgendo gli occhi alla luce”. Queste parole ci aiutano a capire che cura e guarigione agiscono su due piani diversi ma complementari, e che quindi non si escludono a vicenda. Anzi.
Nel continuare a dipanare questo argomentazione, sono sempre state ispiranti per noi le parole di Tiziano Terzani, figura a noi cara e illuminante per come ha vissuto la sua personale malattia. Nel libro “Un altro giro di giostra”, Terzani dice: “La cura ha a che fare con i medici, le medicine, il loro uso, il loro eventuale successo nello sconfiggere la malattia. La cura è una questione soprattutto fisica, viene da fattori esterni. La guarigione invece è il processo con cui si ristabilisce l’equilibrio generale della persona ammalata. Viene soprattutto da risorse interiori, da quel che di personale ognuno porta nel suo incontro con la malattia. […] Nella malattia, la tristezza e la rabbia hanno a che fare con il modo di vivere, con le relazioni con altri esseri umani più che con la malattia in sé”.
Che affascinante mistero il criptico rapporto che c’è tra il nostro corpo e quella parte di noi che ci sfugge e che abbiamo provato a chiamare nel corso dei secoli mente, spirito, anima, essenza, spesso impantanandoci in un’antitesi poco felice. La cura e la guarigione hanno probabilmente più bisogno delle nostre capacità di coltivare l’armonia che delle nostre rigide categorie mentali. Ci crediamo i padroni del mondo, ma quante cose ancora ci sfuggono. Abbiamo forse bisogno di tornare a meravigliarci!
Si può allora dire senza paura che si può guarire anche quando non si può curare, così come si può curare senza poter necessariamente guarire. Ci si può sentire guariti pur restando malati, e si può vincere positivamente una patologia senza aver dato alla guarigione più profonda delle occasioni per sbocciare dentro di noi. Affermare umilmente che “camminare guarisce” non è quindi dire nulla di irriverente né di illusorio. Non abbiamo mai parlato di miracoli. Non abbiamo mai fatto false promesse. Anche se come diceva EInstein “ci sono due modi di vivere la vita. Uno è pensare che niente sia un miracolo. L’altro è pensare che ogni cosa lo sia”. È una scelta di campo.
Ci siamo sempre e solo sentiti di dire: “mettiti in cammino, e ci sono delle buone possibilità che qualcosa cambi nella tua vita. Nel modo e nella misura che solo tu puoi sapere e accogliere. Camminare cambia. Camminare favorisce il ritrovare le cose che contano. Forse per questo aiuta a guarire”.